Prima e dopo la scoperta dell’America... Il Mais - Zea Mays - è un cereale che è nato e si è sviluppato nell'America centrale. Una trentina di anni fa, un archeologo statunitense, Richard MacNeish, ha stabilito che la coltura del Mais è nata con ogni probabilità nella grande valle messicana di Tehuacàn, nella regione di Oaxaca. Si suppone che poi da qui i semi siano arrivati in Perù. Poi le comunicazioni si sono interrotte per secoli determinando grandi differenze tra le varietà messicane e quelle peruviane.Nei decenni successivi al viaggio di Cristoforo Colombo, il mais penetra facilmente nelle campagne di tutta Europa a livello di piccola produzione locale – per intenderci l’equivalente dell’orto –, anche perché questo cereale si sottrae al controllo dei latifondisti – ed anche alle sue decime.In Italia il mais è conosciuto anche come granoturco. Secondo alcuni l’uso del termine "turco" serviva solo indicare la loro origine straniera, per altri invece indica il fatto che il mais ha avuto una grande diffusione nel Seicento grazie alle varietà provenienti dai Balcani, che allora facevano parte dell’Impero Ottomano. Grazie anche alle condizioni climatiche favorevoli le nuove varietà garantivano una produzione più che doppia rispetto ai cereali tradizionali.Per questo il mais finisce per soppiantare nelle campagne italiane altri cereali come il miglio ed il panico divenendo la base dell'alimentazione dei contadini padani. La dieta esclusiva a base di mais finirà per portare la pellagra a diventare la malattia endemica delle campagne italiane.Nell'agricoltura tradizionale, il mais veniva coltivato con la tecnica dei "tre campi": uno a mais e due a grano, mentre negli spazi residui venivano impiantati filari di vite ed alberi. In questo modo i contadini si garantivano i prodotti necessari a pagare le tasse – ovvero il grano –, e quanto era necessario per alimentarsi – il mais trasformato in polenta. Oggi ovviamente il mais è scomparso dalle aree marginali non irrigate.Zea Mays: una graminacea  dell’America centraleParlando delle origini della polenta con maggiore ragionevolezza, possiamo stabilire il punto di partenza del granoturco e dire in che epoca, più o meno, esso è approdato sulle mense italiche. Perchè la parola "granoturco" tra virgolette? Perchè la mamma della farina gialla che noi usiamo per fare la polenta è in effetti la Zea Mays, una graminacea oriunda dell'America centrale, conosciuta però anche in determinate zone del bacino mediterraneo.
Quando i primi semi di quella Zea Mays giunsero in Italia vennero chiamati "granoturco" per indicare la loro origine straniera, quasi misteriosa... turca, insomma.
Mais, dunque, è il vero nome - sempre per restare nella terminologia di tipo familiare - della mamma della polenta.
Una parola che deriva da mahiz, nome col quale gli indigeni che Colombo incontrò sull'isola che battezzò Hispaniola indicavano l'elemento dal quale traevano tanta parte della loro alimentazione. Quelle popolazioni, infatti, sfruttavano il mais in maniera razionale, totale, non ne buttavano via una sola parte: con spighe, foglie e gambi facevano bevande alcoliche, preparavano zucchero, nutrivano il bestiame e ricoprivano i tetti delle capanne; le pannocchie, se mature al punto giusto, venivano abbrustolite sul fuoco (e Colombo ne rimase disgustato, perchè gli piaceva di più il sapore dell'oro!) o macinate fino ad ottenere una poltiglia gialla, grossolana antenata dell'altrettanto gialla, attuale farina da polenta.
Le pannocchie di mais ancora verdi, invece, venivano bollite o cotte sotto la cenere. Quelle civiltà antiche scoperte da Colombo o, meglio, da lui rivelate alla vecchia Europa - usavano condire il mais, sotto qualsiasi forma, con pesce o formaggio, salse e sughi saporiti e piccanti. Vedremo più avanti quanto veramente sagge fossero quelle usanze. Per ritornare al mahiz e alla sua importanza nella civiltà precolombiana, aggiungeremo che godeva addirittura dell'appoggio di una dea, Xilotl, alla quale venivano annualmente fatti sacrifici umani.
Un'usanza tanto crudele in popolazioni che peraltro la storia ha dimostrato essere piuttosto pacifiche, come appunto i Maya e gli Aztechi, si spiega col fatto che il mais era fondamentale per l'economia chiusa di quelle società; pianta "dura", disposta a crescere e a moltiplicarsi ovunque, aveva ed ha un ciclo produttivo piuttosto breve, 80 giorni circa, quanti ne passano dal momento della semina a quello del raccolto.
Ciò spiega perchè anche i pellerossa dell'America settentrionale ne fossero accaniti consumatori; quando infatti il viso pallido, conquistatore e predone, incominciò a impadronirsi delle loro terre costringendoli a ritirarsi, essi erano in grado di approvvigionarsi in tempi relativamente brevi e, in tempi altrettanto brevi, riprendere altrove la semina per un rapido raccolto. Ora che abbiamo dato all'America quello che è dell'America, vediamo quale ruolo ha interpretato l'Europa nel gioco delle parti rispetto alla polenta. Le prime coltivazioni europee di mais, accertate da documenti, risalgono alla prima metà del '500. Scenario l'Andalusia, attori principali i moriscos, cioè gli arabi scampati alla cacciata dalla Spagna. L'uso che essi facevano del mais, però, era lievemente diverso da quello odierno; con esso infatti nutrivano esclusivamente il bestiame. Il che, se fosse fatto anche oggi seriamente, ci consentirebbe senz'altro di assaporare ruspanti squisiti e del tutto "naturali". A confondere le idee sulle origini del mais, però, esistono non poche testimonianze che lo indicano come originario della Persia, paese dal quale i soliti intraprendenti viaggiatori - affascinati dalle enormi estensioni coltivate nella pianura dell'Eufrate - portarono alcuni semi in Europa. E poichè allora la Persia era sotto la sovranità dei turchi, sarebbe spiegata l'origine del nome "granoturco" In Europa, tanto per cambiare, questa novità straniera venne dapprima accettata con malfidenza, trasformatasi con gli anni in critica accettazione, poi comprensione e, infine, entusiastica approvazione. La vera e propria diffusione del mais, comunque, si ebbe in Europa attorno al XVII secolo e in una zona ben precisa: Spagna, Francia, Italia, Penisola Balcanica, Ucraina, Caucaso. Perchè proprio questa fascia? Perchè era quella dal clima adatto alla sua coltivazione, nè troppo caldo nè troppo freddo, secco nella giusta misura.Una pianta relativamente nota e già coltivata in tutta l'America centrale, soprattutto da parte dei Maya che ne utilizzavano i chicchi secchi o lessati e che per primi realizzarono la farina, cuocendola seppur artigianalmente, proprio come si fa oggi con la polenta. La polenta in Friuli: alimento, storia, tradizione.Comparve sul mercato nel 1620 La polenta in Friuli di storia da raccontare ne ha tanta. Si può dire che polenta e Friuli siano un binomio inscindibile che percorre e attraversa tutta la storia della nostra terra. E’ verso il 1600 che, a Udine, il mais comincia a essere quotato regolarmente sul mercato. Il primo documento ufficiale che parla di granoturco in Friuli è datato 17 settembre 1622.Riporta i prezzi medi, le cosiddette “mediocrità” delle granaglie. Il mais, in quel documento, viene chiamato “sorgo turco” ed è venduto a lire 7 lo staio. Lo staio, o staro, è una misura di capacità per granaglie e varia da paese a paese.A Udine equivale a 73,1591 (6 pesenali), a Cividale a 75,7350 litri (6 pesenali e 72 schiffi), a Pordenone a 97,1983 litri (4 quarte e 16 quartaroli).Quando si deve indicare la quantità si suole dire “staio a misura o di Udine o di Cividale o Pordenone.Nell’archivio della curia arcivescovile di Udine un documento anticipa di vent’anni la presenza del mais in Friuli.Una “filza”, così chiamata si tratta di foglietti di carta infilzati uno sopra l’altro su un ferro appuntito, documenta la data del 20 marzo 1602.Nel 1700 la polenta si afferma in maniera decisa e diventa cibo di base per la popolazione che si aggrappa a questa pietanza per sopravvivere e combattere la fame. Del resto non c’è varietà e ricchezza di alimenti.Ci si salva un po’ con le verdure e, nei grandi avvenimenti familiari, si sacrificano i pochi animali da cortile. I friulani la polenta l’hanno sempre mangiata.E’ un cibo sano, per certi versi dietetico, digeribile più del pane. E’ un vero companatico, anzi un…. compolentatico.(Tratto da: Agenda friulana 2012)